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Lo Stile Kojoryu

Lo Stile fantasma di Okinawa

Esiste uno stile di Karate che, dai natali okinawensi, ha una tradizione che si perde nella notte dei tempi ed è stato tramandato in segreto fino agli anni ’60, esso è poco conosciuto e ancora meno diffuso nel mondo tanto da essere appellato come lo “stile fantasma di Okinawa”, si tratta del Kojo-ryu.

Lo Stile Kojoryu | KARATEBOOK

Cai Zhao Gong
fonte: pubblico dominio

Ciò che oggi viene conosciuto come Kojo-ryu 湖城流, dal nome della famiglia che lo sviluppò, è un antico metodo di lotta le cui origini si farebbero risalire, a detta dei maestri attualmente attivi (Shingo Hayashi e Takaya Yabiku), ad almeno 300 anni addietro, collegandoli alla pratica del cinese Cai Zhao Gong, in giapponese Sai Choko o Kojo Wekata [1656 – 1737], della comunità cinese residente nel villaggio di Kume (Kuninda) in Okinawa. Il Kojo-ryu ha radici nell’arte della guerra cinese, nel senso lato di tattiche e tecniche di combattimento a mani nude e con armi, dato che si ritiene che lo stesso Kojo Wekata studiò sia nel Fujian che nel Beijin in ambienti aristocratici e militari; pare che egli era funzionario governativo delle Ryukyu, e rivestendo anche l’incarico di “Ufficiale di almanacchi” venne inviato in Cina per studiare. Si racconta che si addestrò addirittura alla corte dell’imperatore Kang Xi della dinastia Qing, e che ricevette proprio da lui in persona la licenza d’insegnamento dell’arte del combattimento.

Kojo Wekata istruì profondamente un uomo oggi conosciuto come Kojo Shinunjo (data non pervenuta), che pare fosse il nipote, vedendo in lui il suo successore tecnico. Egli riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo del metodo tanto da essere considerato il vero primo caposcuola, la prima generazione del Kojoryu.

Si ritiene che fu proprio lui ad iniziare la formalizzazione tecnica del futuro stile di famiglia, avendo appreso tutto da Kojo Wekata e avendo approfondito ulteriormente l’arte della lotta a mani nude nel Fujian, dato che fu un Pechin (soldato) della corte reale di Ryukyu e guardia al castello di Shuri. La gente di Okinawa chiamava il suo metodo come Kojo-no-Kuninda-di.

Il successore di seconda generazione fu Kojo Shoi (1816 – 1906) che apprese il metodo di famiglia e approfondì le tecniche della Gru Bianca nel Fujian, nonché il bo-jutsu (bastone) e il tanto-jutsu (pugnale), arricchendo il repertorio dello stile.

I periodi corrispondenti alla terza e alla quarta generazione della famiglia Kojo furono i più importanti e fruttuosi per la futura concreta strutturazione dello stile.

Il membro di terza generazione più influente sotto questo punto di vista fu Kojo Tatei (1837 – 1917), nipote di Shoi. Tatei approfondì gli studi del combattimento a mani nude in Cina, sotto il guerriero cinese Iwah (colui che istruì anche il famoso Sokon Matsumura dello Shuri-te) e Wai Shinzan (che istruì anche Higashionna del Naha-te). Si ritiene che Tatei portò dal Fujian un manuale tecnico segreto, le cui istruzioni si rispecchiano fortemente nella pratica del Kojo-ryu, e che tale tomo sia l’antico famoso Bubishi di Okinawa.

Tatei incluse nello stile di famiglia i tre kata che oggi sono il core e il livello più avanzato del metodo, ossia Hakko, Hakuryu e Hakkaku (rispettivamente Tigre Bianca, Drago Bianco e Gru Bianca).

Nella quarta generazione, Kojo Kaho (1849 – 1925) importò nello stile di famiglia, già ben delineato, i tre kata che oggi definiscono il livello medio di addestramento, cioè Tenkan, Kukan e Chikan. Egli, inoltre, creò i tipici due kata di jo-jutsu, e cosa molto importante cominciò a fondere pesantemente il chuan-fa di famiglia con le tecniche di lotta autoctone di Okinawa.

Nella quinta e sesta generazione si ebbero ulteriori arricchimenti del metodo, così com’è tradizione ad Okinawa di “dar vita ad un chanpuru” nel karate.

Kojo Saikyo (1873 – 1941), nipote di Kaho, studiò infatti altri stili del karate okinawense, nonché la forma di sumo locale e il sai-jutsu, introducendo elementi di tutte queste discipline nello stile di famiglia.

Kojo Kafu (1910 – 1996), figlio di Saikyo, fu l’ultimo caposcuola dello stile di famiglia e colui che concretizzò ulteriormente e definitivamente il metodo. Egli approfondì anche sotto il nonno e lo zio, e studiò altre discipline come il Sekiguchi-ryu Jujutsu e il Jukendo.

Kafu fu contemporaneamente un esperto di Shorin-ryu, avendo studiato sotto Hanashiro Chomo e il suo amico Choshin Chibana.

Alla fine degli anni ’60 Kafu decise di rompere la tradizione di famiglia e aprire un dojo pubblico, dove oggi c’è il mercato di Makishi a Naha, così chiamò inizialmente lo stile con la doppia nomenclatura Shinzan-ryu • Shorin-ryu, ma ben presto decise di chiamarlo definitivamente Kojo-ryu.

Varie associazioni di karate di Okinawa provarono a convincere Kafu a unirsi a loro, lo stesso Chibana Sensei lo invitò più volte nella sua associazione, ma dopo alcuni tentativi di collaborare Kafu decise di continuare ad insegnare e preservare il suo karate nel vecchio modo senza entrare in questioni burocratiche e legarsi ad altre realtà.

Il dojo di Kafu purtroppo ebbe vita breve in quanto lo stesso caposcuola e il figlio Shigeru, suo possibile successore, vennero a mancare prematuramente. Per questo motivo, quando la famiglia Kojo chiuse il dojo e gli studenti di Kafu non ebbero modo di esercitarsi, il Kojo-ryu divenne il cosiddetto “stile fantasma di Okinawa” e non si poté più approfondirlo e diffonderlo.

Uno dei pochissimi studenti esterni alla famiglia, uno dei più fidati, era Shingo Hayashi, che oggi è ritenuto l’erede morale di Kafu, dato che i membri viventi della famiglia Kojo non hanno interesse verso la pratica del karate.

Shingo iniziò la pratica del Kojo-ryu nel 1963 e oggi vive in Giappone (mainland) dove insegna a soli tre allievi, lontano da politiche federali o associazionistiche, tramandando alla vecchia maniera ciò che gli è stato insegnato dal suo Sensei tanto da essere conosciuto come “kakuri bushi o guerriero nascosto”.

Lo Stile Kojoryu | KARATEBOOK

Angelo Bonanno con Shingo Hayashi Sensei e il team del Kojo-ryu fonte: proprietà dell’autore

Il Kojo-ryu è un’arte marziale molto combattiva e include kata a mano vuota e kata con armi.

Se considerato come un sistema, risulta molto complesso e contiene molti kata derivati e dall’antico chuan-fa e dai metodi autoctoni di Okinawa, conosciuti come Shuri-te, Tomari-te e Naha-te. È anche considerato come Kuninda-di, poiché come detto sopra la famiglia Kojo viveva nel villaggio di Kume.

Se considerato come uno stile propriamente detto, contempla sei kata che sono stati trasmessi unicamente a livello familiare e sono unici nel mondo del karate, poiché nessun altro stile possiede kata simili. Questi kata sono Tenkan, Kukan, Chikan, Hakko, Hakuryu e Hakkaku; i primi 3 kata includono 12 kamae-te tipici dello stile che rappresentano i dodici animali dello zodiaco e hanno particolari applicazioni.

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Angelo Bonanno in Chi-Seigan kamae fonte: proprietà dell’autore

Il ricco repertorio di atemi-waza, kansetsu-waza, shime-waza e nage-waza, deriva dalla combinazione di varie radici tecniche, e vuole il tipico “chanpuru di Okinawa”; infatti, lo stile è un progetto e fusione di esperienze provenienti da molteplici metodi come Xingyi-quan, Luohan-quan, Hakutsuru-ken, Uchina-di e anche il giapponese Jujutsu.

Il Kojoryu è un metodo che è ancora praticato e insegnato secondo i principi di un vecchio karate familiare, mira esclusivamente allo studio dell’autodifesa più diretta ed efficace. La sua complessità tecnica si risolve nella paradossale ricerca della semplicità dell’azione, al fine di rendere la difesa la più potente e neutralizzante possibile.

Il Kojo-ryu si caratterizza dal vasto uso della mano aperta anziché del pugno di tipo seiken-tsuki, inoltre sono tipiche dello stile le tecniche tate-tsuki, ippon-ken, hiji-uchi, nukite-uchi, shuto-uchi e soprattutto shotei-uchi. È uno stile ricco di tegumi (o tuite) cioè tecniche di lussazione e sottomissione, nonché kyusho-jutsu; la strategia di lotta rimarca l’idea della continuità del movimento per non lasciar tempo di reazione all’aggressore.

Il Kojo-ryu è anche uno stile molto spirituale, il Sensei dice sempre che esso può essere praticato solo da chi è dotato di kokoro, cuore sincero; egli dice che la semplicità è la tecnica più complessa e più importante, nella dottrina del combattimento così come nella dottrina della morale.

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Articolo scritto da Angelo Bonanno Sensei

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